Deliberammo, dicevo, che ci era
indifferente entrare in Nagasaki, ma era comunque opportuno passare
per il porto: un luogo fuori dalle mura, allo stesso tempo cimitero
per vecchie barche ad introvabile benzina e luogo di raccolta per
quelle, piccole, a remi, che ancora gli abitanti usavano per la
pesca. Dato il lungo percorso che ci attendeva, trovare
un'imbarcazione sarebbe stato un modo agevole di proseguire il
viaggio, ed eravamo pronti a pagare il passaggio con i nostri
cavalli.
In effetti, c'era un'imbarcazione in
grado di affrontare agevolmente il mare aperto, ma probabilmente non
ce la saremmo cavata con cinque ronzini: dalle acque del porto
emergeva un fiammante sommergibile battente bandiera tedesca! Anzi,
per essere precisi, un U boat, l'U234. Una decina di soldati tedeschi
erano accampati sull'imbarcadero.
Ci avvicinammo, meravigliati: eravamo
tutti convinti che il Giappone fosse del tutto isolato dal resto del
mondo dalla coltre di nebbia stregata che lo avvolgeva da anni,
apparentemente insuperabile. Un giovane ufficiale ci accolse con
cordialità, anche perché Hiroshi si dimostrò oltremodo deferente e
lo lusingò chiamandoli alleati. L'ufficiale sorrise e affermò che
la guerra era finita, Germania e Giappone non erano più alleati, ma
la Germania era ancora forte, più forte degli sconvolgimenti, e
avrebbe volentieri stretto nuovi rapporti amichevoli con noi. Alcuni
dei loro soldati erano appunto sbarcati con l'intento di trovare
interlocutori autorevoli. Dopo di che, ci allontanò con gentile
fermezza.
Dunque il Kamikaze non soffiava solo
sul Giappone.
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