sabato 30 gennaio 2016

Quello che non sai non può ferirti.

Nella vita si trova il germe della morte, i morti hanno un principio di vita: mai come da quando il kamikaze, il vento sacro, ha iniziato a spirare su queste lande gli effetti di tale principio si sono rivelati anche agli ingenui.
Avrebbe dovuto essere un giorno di festa: ero tornato al mio natio villaggio di Nomozaki, nei pressi del monte Gongen (dove gli invasori alieni sono soliti costruire una loro base, per dare il via all'invasione della terra, ndr), non lungi da Nakasaki, dove vivo, per festeggiare con i miei cugini della potente famiglia dei Gorumaru il matrimonio del più ricco dei loro cugini, Ataru Gorumaru, con Haniko detta Fiore di Pesco, una donna i cui seni eccedono largamente ogni principio di equilibrio e moderazione insito nel Tao, ma non per questo risulta disprezzabile. Invece di una notte di baldoria, avemmo una notte di lutto.
Ne ho ricordi vaghi: sangue, violenza, sanguisughe che attaccano. Mi svegliai la mattina con un buco di pistola nella pancia, disposto vicino ai miei cugini Hiroshi e Takeshi Gorumaru: morti anche loro. Attorno, tutti gli altri membri della famiglia, inclusa la cugina carina che aveva sempre reso più interessante la frequentazione della loro famiglia (per motivi eminentemente decorativi, sia chiaro, giacché mai l'avrei sfiorata anche solo con il pensiero...no, col pensiero sì, ma nemmeno con un dito, per rispetto ai miei cugini) vagavano senza senno e senza costrutto, ridotti a semplici Shiryo. Guardai i miei cugini, e riconobbi la coscienza nei loro occhi: capimmo tutti di essere diventati degli Immortali, e quindi Ronin con il preciso compito di difendere i vivi dagli altri morti. Così aveva voluto il Tao.

Vestimmo antiche armature da Samurai degli avi dei Gorumaru, accompagnando il gesto con solenni giuramenti: Hiroshi giurò solennemente di cercare vendetta per quella strage (anche se avrebbe dovuto dare la caccia ai vivi, e quindi sviare dal Bushido), io preferii restare più sul vago (“giuro di comportarmi bene”...).


Shoji Ito