venerdì 13 maggio 2016

Chi sa ascoltare bene, sa anche parlare bene

Deliberammo, dicevo, che ci era indifferente entrare in Nagasaki, ma era comunque opportuno passare per il porto: un luogo fuori dalle mura, allo stesso tempo cimitero per vecchie barche ad introvabile benzina e luogo di raccolta per quelle, piccole, a remi, che ancora gli abitanti usavano per la pesca. Dato il lungo percorso che ci attendeva, trovare un'imbarcazione sarebbe stato un modo agevole di proseguire il viaggio, ed eravamo pronti a pagare il passaggio con i nostri cavalli.
In effetti, c'era un'imbarcazione in grado di affrontare agevolmente il mare aperto, ma probabilmente non ce la saremmo cavata con cinque ronzini: dalle acque del porto emergeva un fiammante sommergibile battente bandiera tedesca! Anzi, per essere precisi, un U boat, l'U234. Una decina di soldati tedeschi erano accampati sull'imbarcadero.
Ci avvicinammo, meravigliati: eravamo tutti convinti che il Giappone fosse del tutto isolato dal resto del mondo dalla coltre di nebbia stregata che lo avvolgeva da anni, apparentemente insuperabile. Un giovane ufficiale ci accolse con cordialità, anche perché Hiroshi si dimostrò oltremodo deferente e lo lusingò chiamandoli alleati. L'ufficiale sorrise e affermò che la guerra era finita, Germania e Giappone non erano più alleati, ma la Germania era ancora forte, più forte degli sconvolgimenti, e avrebbe volentieri stretto nuovi rapporti amichevoli con noi. Alcuni dei loro soldati erano appunto sbarcati con l'intento di trovare interlocutori autorevoli. Dopo di che, ci allontanò con gentile fermezza.

Dunque il Kamikaze non soffiava solo sul Giappone.

lunedì 2 maggio 2016

I soldi sono posseduti a turno nel mondo

Cammina cammina, giungemmo ad una casa al limitare del bosco. Posammo le armature e ci avvicinammo, curiosi e affamati. Quando stavamo chiedendoci se per caso non fossimo usciti da un gioco di ruolo horror per entrare in una fiaba per bimbi, ecco che un tizio fu scaraventato fuori direttamente da una finestra. Tutto era a posto. Immediatamente dopo, dalla porta uscì una donna di truce bellezza con quattro scagnozzi, tutti inequivocabilmente tatuati come Yakuza. “Non farti più vedere nella mia bisca. Questa la gestiamo noi”, tuonò lei, aggressiva. Per risultare più convincenti, gli scagnozzi accompagnarono le parole della tipa con una caterva di botte, dopo le quali il tizio scaraventato fuori si allontanò zoppicando.
Subito Ataru lo seguì, curioso di sapere che cosa fosse successo. Ma noi, PG più esperti, sapevamo che il posto migliore per raccogliere informazioni sono sempre le bische e le locande. Infatti, Ataru fu maleducatamente mandato a quel paese dal tizio malmenato, e quando tornò alla bisca notò che gli scagnozzi tatuati stavano trafficando col suo cavallo.
Che era successo? Molto semplice: eravamo entrati, avevamo chiesto dei sakè ma il costo era di 500 yen! Ovviamente non avevamo di che pagare, ma Hiroshi si dichiarò disposto a giocare ai dadi scommettendo il cavallo di Ataru contro 1000 yen. Per fortuna della buona pace familiare, vinse, e anzi lanciò un'ulteriore sfida: 500 yen per il miglior bevitore di sake! Come morto, sapeva di essere imbattibile, ma si impegnò al massimo per interpretare la parte dell'ubriaco.
Vinta anche questa sfida e lasciata una generosa mancia, uscimmo, pronti a ripartire verso Nagasaki. Ma prima che potessimo slegare i cavalli, uscì anche la tipa tatuata con i suoi immancabili scagnozzi e ci chiese chi fossimo. Forse aveva già subodorato qualcosa, ma quando Ataru si presentò come Peppino San, ella intuì che stavamo fornendo nomi falsi e si disse irritata per questo. Io le feci notare che la sua irritazione ci era del tutto indifferente. Al che, lei ribadì con aria più vanamente minacciosa che la irritava essere presa in giro, e che non potevamo pensare di entrare in Nagasaki senza documenti, a meno che lei non mettesse una buona parola per noi.

Deliberammo che ci era del tutto indifferente anche entrare in Nagasaki e riprendemmo la nostra strada.