martedì 29 marzo 2016

Chiedere è vergogna di un momento, non chiedere è vergogna di una vita

Hiroshi, da dentro, riuscì a cogliere la belva di sorpresa, e con la sua Nodachi quasi le divise la testa. Quella non sembrò patirne troppo: con una mossa rabbiosa colpì il nostro amico scagliandolo lontano, per fortuna con più danni all'armatura che alla pellaccia. Intanto, noi accorrevamo, facendoci largo fra i normali felini, che sventravamo due o tre alla volta, mentre Ataru saettava contro di loro. La belva provò la fuga, ma per sua sfortuna andò verso Ataru, che riuscì ancora a colpirla prima che quella gli fosse addosso, buttandolo a terra. Bastò quell'attimo: tutti, tranne Takeshi che giaceva in terra coperto di gatti come non è accaduto nemmeno a Pippo (ma molto più arrabbiati) fummo addosso alla belva e la colpimmo ripetutamente. Colpì ancora Hiroshi, ma infine con un colpo preciso riuscii a tagliarla di netto in due: la facemmo a brandelli senza problemi.
Intanto Takeshi continuava a lottare coi mici, i quali contro le nostre aspettative non si erano dispersi dopo la sconfitta dello spirito. Mentre correvamo da lui per liberarlo, Ataru scoccò una freccia precisa, che trapassò un gatto seccandolo sul colpo. Disgraziatamente, il precisissimo tiratore non aveva considerato che il felino si trovava sulla gamba di Takeshi, sicché il dardo dopo aver trapassato le fragili carni dell'animale si piantò profondamente nella coscia del nostro amico. Quello fu il maggior danno riportato dall'attacco della torma di felini.


Finita la battaglia, ci sedemmo: strano a dirsi per dei morti, ci sentivamo esausti. La vista della fanciulla, che ci correva incontro per ringraziarci dell'impresa, ci risollevò comunque il morale etc.

mercoledì 23 marzo 2016

Dare Koban ai gatti

Era il quarto anno che l'orrendo rito si ripeteva, e non potevamo nemmeno immaginare come potessero essere le tre fanciulle sacrificate negli anni precedenti. L'ira ribolliva nei nostri petti (e non solo), così giurammo che avremmo posto fine a quella schiavitù, e tra l'altro non l'avremmo nemmeno voluta come sacrificio. Non come sacrificio alimentare, quanto meno.
Decidemmo subito una strategia. Innanzi tutto, la fanciulla avrebbe dovuto spogliarsi, in modo da vestire uno di noi, Hiroshi, con quegli abiti e chiuderlo dentro la portantina, che portammo entro le rovine di un antico recinto sacro, che era il luogo dove veniva lasciata la vittima. Noi ci appostammo attorno: Ataru leggermente discosto, con il suo arco, noi più vicini. La ragazza rimase con noi, perché se fosse tornata al villaggio sarebbe stata certo accusata di essere fuggita al suo destino, mettendo tutti a rischio. Disgraziatamente, Sasaki aveva un kimono da prestarle.

Attendemmo sino al calare delle tenebre. Quando fu scuro, ma grazie alla luna non così scuro che non si potesse vedere nulla, percepimmo una serie di ombre avvicinarsi alla portantina. Guardammo meglio: erano dei gatti scuri. Ma non i gatti carini e coccolosi, bensì inquietanti, sebbene non facessero nulla di male, a parte assemblarsi in modo innaturale. Improvvisamente, percepimmo una presenza, non viva ma piena di potenza, sopra la portantina: un altro gatto, ma enorme, lungo forse cinque metri, che era evidentemente lo spirito.
Era il momento: balzammo all'attacco.

mercoledì 2 marzo 2016

Non tutte le donne sposate sono mogli

Lasciato il leggendario ronin Batto, ci avviammo verso il tempio della Sacerdotessa di Ise: la via più breve per Kyoto era passare per Nakasaky. Avrei rivisto i luoghi nei quali ero vivo! Che effetto mi avrebbero fatto?
Mentre camminavamo, senza posa e senza sentire la fatica come accade a noi Kami, discutevamo della nostra nuova condizione di Ronin: in quanto morti, e quindi senza circolazione sanguigna, avremmo ancora avuto la capacità di possedere una donna? Tali discorsi mi riportavano alla memoria la giovane Gorumaru, mentre Ataru ricordava la sua Fiore di Pesca scomparsa. Insomma, la passeggiata somigliava moltissimo ad una cena fra vecchi compagni di classe che ricordano l'adolescenza.
Improvvisamente, percepimmo l'avvicinarsi di esseri umani. Continuammo per la nostra strada, finché il Destino non ci portò ad incontrarli. Erano quattro uomini che trasportavano una portantina chiusa: non appena ci intravidero, cominciarono a gridare:
«Gli Oni, gli Oni!»
E fuggirono via. In quel momento, emerse prepotente il mio antico spirito di insegnante, e gridai di rimando:
«Kami! Ingnoranti, siamo Kami, non Oni!»

Simultaneamente, Ataru si lanciò al loro inseguimento, credo per illustrare meglio la differenza. Noialtri, invece, ci avvicinammo alla portantina: dentro, vi era una fanciulla le cui poppe ragguardevolissime fugarono immediatamente ogni dubbio riguardo al tema discusso sino a poco prima. Era spaventatissima, ma quando l'avemmo rassicurata sulle nostre buone intenzioni e sulla nostra buona fede di Ronin (e quando si fu resa conto che divorarla era l'ultimo dei pensieri che facevamo al suo riguardo), ci raccontò la sua storia: uno spirito feroce aveva attaccato il suo villaggio, aveva già sconfitto altri Ronin, e l'unico modo di tenerlo a bada era stato quello di sugellare, con un rito magico, un tremendo patto, ossia l'offerta, ogni anno, della fanciulla più bella del paese.