Nella vita si trova il germe della
morte, i morti hanno un principio di vita: mai come da quando il
kamikaze, il vento sacro, ha iniziato a spirare su queste lande gli
effetti di tale principio si sono rivelati anche agli ingenui.
Avrebbe dovuto essere un giorno di
festa: ero tornato al mio natio villaggio di Nomozaki, nei pressi del
monte Gongen (dove gli invasori alieni sono soliti costruire una loro
base, per dare il via all'invasione della terra, ndr), non lungi da
Nakasaki, dove vivo, per festeggiare con i miei cugini della potente
famiglia dei Gorumaru il matrimonio del più ricco dei loro cugini,
Ataru Gorumaru, con Haniko detta Fiore di Pesco, una donna i cui seni
eccedono largamente ogni principio di equilibrio e moderazione insito
nel Tao, ma non per questo risulta disprezzabile. Invece di una notte
di baldoria, avemmo una notte di lutto.
Ne ho ricordi vaghi: sangue, violenza,
sanguisughe che attaccano. Mi svegliai la mattina con un buco di
pistola nella pancia, disposto vicino ai miei cugini Hiroshi e Takeshi
Gorumaru: morti anche loro. Attorno, tutti gli altri membri della
famiglia, inclusa la cugina carina che aveva sempre reso più
interessante la frequentazione della loro famiglia (per motivi
eminentemente decorativi, sia chiaro, giacché mai l'avrei sfiorata
anche solo con il pensiero...no, col pensiero sì, ma nemmeno con un
dito, per rispetto ai miei cugini) vagavano senza senno e senza
costrutto, ridotti a semplici Shiryo. Guardai i miei cugini, e
riconobbi la coscienza nei loro occhi: capimmo tutti di essere
diventati degli Immortali, e quindi Ronin con il preciso compito di
difendere i vivi dagli altri morti. Così aveva voluto il Tao.
Vestimmo antiche armature da Samurai
degli avi dei Gorumaru, accompagnando il gesto con solenni
giuramenti: Hiroshi giurò solennemente di cercare vendetta per
quella strage (anche se avrebbe dovuto dare la caccia ai vivi, e
quindi sviare dal Bushido), io preferii restare più sul vago (“giuro
di comportarmi bene”...).
Shoji Ito
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