Intanto, il villaggio continuava ad
essere una sorta di attrattiva locale: poco dopo Ataru, si presentò
un tizio bardato da capo a pieni di un'armatura samurai come la
nostra, che era evidentemente un Kami come noi dal momento che non
percepivamo la sua presenza.
«Sono
Sasaki Koijro», dichiarò pieno di orgoglio.
Un
nome familiare. Fu però Takeshi a raccontare con saccenteria la sua
storia: Sasaki Koijro era un antico samurai, valorosissimo ed
imbattibile finché non si fece attrarre in una palude dove affogò
con l'aiuto di un semplice colpo di bastone. Un valorosissimo, ma
magari non il migliore degli strateghi, ecco.
In
quel momento, avvertimmo la fame. La fame tremenda dei morti, che non
poteva essere saziata da nessun sushi o banchetto nuziale. Mentre
soffrivamo, Sasaki cominciò a predicare che dovevamo superare la
prova della fame per diventare Ronin, altrimenti avremmo ceduto alla
tentazione di mangiare i vivi (mentre avremmo dovuto limitarci a
quelli offertici in ricompensa o a coloro che ci avrebbero
attaccato).
Fatto
sta che partimmo affamatissimi sulle tracce lasciate dai nostri
aggressori.
Cammina
cammina, avvertimmo un gruppo di vivi in arrivo. Ci nascondemmo fra
le frasche, salvo Takeshi che si mise in evidenza fra le frasche, in
un patetico tentativo di nascondersi. Fatto sta che quando arrivò il
gruppo di vivi, che poi erano un gruppo di sanguisughe, gli passarono
oltre sbeffeggiandolo, sapendo che i Ronin non possono nuocere ai
vivi.
Quando
il nostro pranzo sembrava oramai essere passato oltre, accadde una
cosa stranissima: l'ultimo della fila si girò, sguainò la spada e
camminò, con passo incerto, verso Takeshi; quindi, lo colpì
pianissimo con la spada, implorando al contempo pietà con una voce
terrorizzata. A ogni buon conto, ci aveva attaccato: accorremmo tutti
in aiuto di Takeshi, uccidemmo e divorammo lo sventurato ma
appetitoso vivo. In realtà, Ataru prima chiese il permesso due
volte.
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